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Lunedì 5 febbraio ore 20
Studio 2 RSI a Lugano-Besso

“Domani si vive e si muore” è il nuovo progetto discografico firmato da Michele Gazich, Federico Sirianni e Giovanni Straniero, nipote di quel Michele L. Straniero che fu anima dei “Cantacronache”, i “padri putativi” della canzone d’autore in Italia che nella Torino del boom economico di fine anni ’50 si posero quale contraltare alla narrazione euforica di una società ricca e sfavillante. Fu un’esperienza a dir poco straordinaria, che seppe riunire alcuni tra i più grandi intellettuali e musicisti dell’epoca: da Umberto Eco a Italo Calvino, passando per Gianni Rodari, Andrea Liberovici, Fausto Amodei e Margot solo per citarne alcuni.

Giovanni ha scovato poesia inedite del nonno Michele - giornalista, scrittore, cantautore, musicologo e poeta - che Sirianni e Gazich hanno musicato, anzi, scrive Giovanni: “Gazich e Sirianni non si sono limitati a musicare le poesie, le hanno arrangiate, le hanno cantate e interpretate con passione. Non solo. Hanno anche creato due nuove canzoni, “Oggi ho incontrato Michele Straniero” e “Danzacronaca” in una sorta di omaggio alla vita di Michele L. Straniero.”   

Tutte le info qui: https://www.rsi.ch/eventi/%E2%80%9CDomani-si-vive-e-si-muore%E2%80%9D--2042844.html

 
Venerdì 22 marzo esce "La Promessa della Felicità" di Federico Sirianni
Produzione artistica di Michele Gazich
 

La notte, il sogno, la promessa
Piove, è mercoledì, sono a Venezia, riposo nel mio letto. Ho dimenticato il
telefono acceso e naturalmente squilla poco dopo la mezzanotte di una notte a
dicembre. Senza poter guardare chi è perché non indosso gli occhiali, lo
accosto all’orecchio con l’ansia con cui si accoglie un’inaspettata telefonata
notturna: rumore di gente e di bicchieri e poi la voce gentile di Federico: “Ciao,
Michele, perdona l’orario, ma ti volevo chiedere se vuoi produrre il mio
prossimo album. Tutto qui.” La sincerità della richiesta nel cuore della notte, mi
porta a dire immediatamente di sì.
Qualche giorno dopo, Federico mi manda una registrazione de La Promessa
della Felicità e mi scrive: “Questa canzone sembra finita, sia nel testo che nella
melodia, ma non è così. Perché ciò che mi suggerisce questa canzone
all'ascolto non è una promessa di felicità, ma è una felicità raggiunta,
acquisita, collocata. La promessa, la ricerca della felicità per me non ha nulla di
certo: è un viaggio avventuroso, pieno di insidie e a serio rischio di fallimento.
Tutto questo nella musica non si percepisce. Si percepisce quiete, armonia,
sorriso. Non si percepisce la fatica, il pericolo, il terreno accidentato. Mi
piacerebbe che in qualche punto ci fosse un inciampo, una dissonanza, un
qualcosa che strida. Immagino un'introduzione che, melodicamente, con la
canzone c'entri poco e racconti un percorso al buio. Perdona la confusione nella
descrizione di queste sensazioni, ma non riesco a dirlo meglio”. Faccio tesoro
di queste parole e la canzone entra nelle mie orecchie per restarci;
inesorabilmente accompagna ogni mia giornata, la ascolto ovunque: a casa, in
viaggio, camminando, in macchina e anche in barca nella laguna… Infine penso
che va bene così com’è, che non serve altro, se non un arrangiamento di archi
o poco più. Lo dico a Federico che accoglie la mia conclusione, forse un po’
deluso, ma io lo rassicuro e gli ribadisco che davvero va tutto già bene così,
scrivo un arrangiamento di archi per decorare ciò che già esiste e la canzone
sembra lasciare i miei pensieri.
Tutto sembra finito, ma una notte di febbraio (ancora una volta di notte), la
canzone ritorna, torna a visitarmi in sogno. E suona proprio come Federico
l’avrebbe desiderata: un violino taglia la notte a metà come una mela e
introduce a una musica inquietante, ma che riesce poi a quietarsi negli accordi
iniziali della canzone, riemergendo però carsicamente qua e là quando le
parole non dicono. Solo alla fine della canzone, la musica inquietante si
manifesta ancora: inaspettatamente ma con decisione, come il ricordo di un
amore quando affiora al cuore e alla mente.
Tutto ciò mi parve subito infinitamente meglio di quanto avevo pensato nei
mesi precedenti da sveglio, presi due appunti su di un foglietto che avevo sul
comodino e mi riaddormentai. La mattina dopo mi svegliai e scrissi tutto quello
che avevo sentito in sogno. Appena in tempo, perché due giorni dopo lo studio
era prenotato per la registrazione. E fu così che la musica che avevo tanto
ricercato e infine sognato smise di fuggire e, come se niente fosse, si fece
catturare dai microfoni, dalle mie mani e dalle mani degli altri musicisti come
una promessa di felicità.

Michele Gazich
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